mercoledì 29 novembre 2006

concept


Le attitudini attiviste, presenti nelle arti visive in forma assidua dagli anni 70, furono spiegate da Luois Althusser in “Ideology and ideological state apparatus”, come pratiche culturali o critiche di opposizione che hanno la capacità di destabilizzare i poteri riproduttori dell’ideologia dominante. Oggi bisognerebbe distinguere quanto tutta l’arte cosiddetta ‘politica’ sia una necessità o piuttosto una tendenza costruita dal sistema dell’arte, e chiedersi perché l’arte ad un certo punto ha avuto il bisogno di ridefinire la propria processualità con un aggettivo, “arte relazionale”, “arte pubblica”, sociale, ecc. che, nato contro ogni tipo di formalizzazione, è diventato uno standard formale.


Every Revolution is a throw of dice


16 novembre - 10 dicembre
Progetto curatoriale vincitore del concorso“20/30 Arte giovane in Italia”.
Premio Giovani Curatori.


ARTISTI: Giorgio Andreotta Calò, Nemanja Cvijanović, Daniel Kemeny, Pleurad Xhafa, Andrea Nacciarriti, Alessandro Nassiri Tabibzadeh, Timea Anita Oravecz, Maria Vittoria Perrelli, Stefano Romano, Petar Stanovic, Nico Vascellari.

Loggia della Mercanzia,Piazza Banchi, Genova.

Giovedì 16 Novembre si inaugura “Every Revolution is a throw of dice” progetto vincitore del concorso “20/30 Arte giovane in Italia” promosso dal Museo d’arte Contemporanea di Villa Croce e dall’Accademia Ligustica di Belle Arti. Quarto appuntamento alla BAG - Borsa Arte giovane - il nuovo spazio alla Loggia della Mercanzia di Piazza Banchi che l’Assessorato alla Cultura del Comune di Genova propone a carattere sperimentale.

Every revolution is a throw of dice, a cura di Elvira Vannini, si sviluppa in una dialettica tra progettualità e azione creando un sistema di ricezione multipla che alimenta un clima propenso alla tensione spaziale e performativa, che spesso rimane in fase germinale. Decostruisce l’esposizione museale a favore di un evento che privilegia l’esperienza.Un’attitudine diffusa all’azione che si delinea nel “qui” e “ora” della contingenza: al limite tra operazioni public e interventi diretti, antagonisti, che ridefiniscono i termini l’agire estetico.

La mostra propone uno sguardo frammentato ed eterogeneo di tutti i possibili dispositivi linguistici: video, installazioni, performance e documentazioni, guerrilla advertising. Ogni lavoro è lo step di un processo che coinvolge attivamente lo spettatore ponendo una domanda aperta sul mondo che invita a riflettere sulle sue contraddizioni, con un interfaccia sul sociale e sul concetto di de-localizzazione, intesa come lo stare altrove. Le opere degli artisti, parafrasando Lefebvre, si sviluppano negli interstizi della realtà come campi eventuali tra l’esperienza, la rappresentazione e l’utopia.

Il paesaggio urbano, l’architettura e la sua storia, l’alterità o conflittualità delle relazioni esperite sono al centro delle opere degli artisti invitati. Anche il sonoro diventa, in alcuni casi, ambito di progettualità utopica, il suo impiego come “strategia di territorializzazione”, diventa una modalità di attraversamento dello spazio, un processo di appropriazione.

Every revolution is a throw of dice circoscrive una zona libera, temporaneamente autonoma - le T.A.Z di Hakim Bey - un’area transitoria per non essere distrutta e normalizzata, che sovverte l’ordine costituito approfittando dell’impossibilità dello stato al controllo totale, per elidere i dispositivi di sorveglianza dichiarando la propria soggettività radicale. Un’isola di territorio libera dal dominio capitalista, una piccola comunità in fuga mai separata dall’urgenza della realtà sociale.

La città e lo spazio pubblico come luogo delle comunità insorgenti e attive - le insurgent citizenships dell’antropologo americano James Holston - o quelle che Leonie Sandercock chiama insurgent planning practices le iniziative di pianificazione e di resistenza che si oppongono alla città esistente come struttura organizzativa di potere.

Every revolution is a throw of dice è una piattaforma per esporre i progetti, le ricerche, i lavori di un primo nucleo di artisti invitati, per creare una cartografia di tutti i percorsi dello spazio umano, delle consuetudini, della socialità e dei nuovi protagonismi. Un network di artisti che funziona come un dispositivo geografico per scambiarsi “stati di avanzamento” del proprio lavoro di ricerca.Tutti gli sguardi presentati sono a loro modo radicali. L’architettura e il rapporto con lo spazio urbano – ineludibile quando gli interventi sconfinano dai luoghi deputati per occupare la città - si sviluppa come superamento dei limiti imposti dal planning, come dislocamento spaziale, come intervento a ‘bassa definizione’ di investigazione territoriale.Un filtro che il controllo impone al dominio dell’illegalità forzata, per registrare gli stravolgimenti del contemporaneo a partire dal quotidiano. Una mobilitazione che sottende forme diverse di partecipazione, di resistenza culturale. Espressioni dell’urgenza in una dimensione polemica verso la realtà.

Every revolution is a throw of dice è un pezzo dei The death of Anna Karina, tratto dall’ultimo album, New liberalistic pleasures.


ARTISTI: Giorgio Andreotta Calò, Nemanja Cvijanović, Daniel Kemeny, Pleurad Xhafa, Andrea Nacciarriti, Alessandro Nassiri Tabibzadeh, Timea Anita Oravecz, Maria Vittoria Perrelli, Stefano Romano, Petar Stanovic, Nico Vascellari.


BAG – Borsa Arte Giovane – Loggia della Mercanzia di Piazza Banchi, Genova

opening della mostra 16 Novembre ore 18:30
Orari: da martedì a venerdì ore 9-19 sabato e domenica ore 10-19 - lunedì chiuso - Ingresso gratuito

INFO
Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
tel.010/580069

Accademia Ligustica di Belle Arti
tel.010/560131

GIORGIO ANDREOTTA CALO' & TIMEA ANITA ORAVECZ








The Rowing-house, casa a remi, progetto azione/videoinstallazione, 2006.




The Rowing-house è una video installazione realizzata a quattro mani da Giorgio Andreotta Calò e Timea Anita Oravecz, il prototipo di una casa mobile, una sorta di battello-dimora che traduce l’idea di spostamento, le strategie di adattamento e un nomadismo fisico e intellettuale che riflette la ricerca di una possibile stanzialità.


Giorgio Andreotta lavora per sondare le zone di tensione tra l’interno e l’esterno, i pieni e i vuoti, l’architettura e gli interstizi della realtà, per risemantizzare le aperture, scardinare i limiti imposti amplificando le dinamiche strutturali, spesso con interventi public che sconfinano nello spazio sociale. Nel lavoro di Timea ricorre spesso l’idea della casa, degli abiti, gli armadi come metafore della vita affettiva che trasmettono un’intimità dispiegata negli oggetti e raccontano di un agire estetico e sociale fatto di accumuli e di riusi, di uno scambio culturale che rifugge gli standard della globalizzazione.




Nella città informale, dispositivo di ascolto e grado zero dell’urbano, i modelli abitativi sono strutture spontanee, insediamenti improvvisati, dettati dall’urgenza di necessità contingenti, e funzionanti, come puro valore d’uso, in modo sostenibile, flessibile e perfettamente auto-organizzato rispetto allo spazio. La casa a remi è un’unità minima per la sopravvivenza, un’utopia realizzata nell’idea stessa di un domicilio migrante e mobile, che diventa, per sua stessa natura, dislocamento e delocalizzazione temporanea, con forme non ereditabili, in cui i due artisti hanno realmente soggiornato per una settimana, lo scorso luglio in occasione del Corso alla Fondazione Ratti di Como, percorrendo il lago, mappandone la superficie, in un live-work che condensa esperienza, vissuto esistenziale e lavoro artistico.

NEMANJA CVIJANOVIC






The sweetest dream, 2005, stampa su tessuto,300x150cm courtesy t293 gallery, Napoli


Nemanja Cvijanović volge il suo sguardo caustico alle utopie del Novecento e alla crisi di un sistema politico che coincide con la fine del comunismo, caricandone i simboli popolari di un’aura di adesione nostalgica. Da Marx che piange, a Che Guevara nella celebre immagine ‘mediatica’ dopo la morte, che diventa una sagoma con personaggi da interpretare, perché nel gioco pericoloso della politica le vecchie e sane ideologia sono materia da indagare con gli strumenti dell’avanguardia. O ancora il partigiano croato giustiziato nella sedia che fa’ il verso a Kosuth, la tomba di Tito, l’albero genealogico della sua famiglia costituito da tutte le tessere del Partito Comunista, fino a The sweetest dream solo apparentemente una bandiera dell’Unione Europea: le stelle si rovesciano a formare in una svastica, provocando, scuotendo le coscienze, suscitando polemiche.



STATEMENT:

The Sweetest Dream/Il sogno più dolce


Perché questa bandiera?


Il secondo impero o meglio "sotto-impero" (europeo) è unito dai sogni e dai simboli, ha dei confini impermeabili per la circolazione delle persone ma aperti al transito delle merci. Accanto alle dogane ecco i CPT, "Centri di permanenza temporanea" (da Gorizia, lungo la costa italiana, poi francese, spagnola - assomigliano ai campi di concentramento di un epoca non così lontana - gente priva di libertà, giustizia e cultura) gestiti da una vergognosa società che vive di guerre, nella miseria dei paesi sfruttati, "neocolonizzati". Mi sto chiedendo se questa realtà possa corrispondere al dolce sogno di Adolf - avere un forte Reich europeo (sì, marcio dentro ma splendido nella sua ideologia e nella propaganda dei media elettorali)?Il mio sguardo è quello di un cittadino di un paese europeo (la Croazia) al di fuori della comunità. L' Europa è un triste status-obiettivo, nonostante tutte le banche e industrie importanti siano già da tempo politicamente portate a bancarotta, poi privatizzate e dominate dalle Banche e dagli industriali dei paesi comunitari (che nel loro ambito erano piccoli enti insignificanti ma nel nuovo territorio dominato sono diventati dei giganti di sfruttamento). Che bella politica di "democratizzazione”. La più recente categoria di nuova comunitarità approva senza problemi l'esistenza di cittadini europei di primo e di secondo grado, se non vogliamo proprio nominare quelli "invisibili" di terzo grado. Evviva il nostro bel Reich!In che modo l’arte diventa una possibile arma da combattimento?Non mi vergogno per niente quando dico che con questa operazione (esporre The Sweetest Dream) sto usando il media (chiamiamolo arte o arte contemporanea) per una comunicazione politica, perché non vedo nessun altro senso d’esistenza di quel sistema. Questa piattaforma che tende ad ingoiare tutto si presta perfettamente alla trasmissione delle idee che ritengo necessarie comunicare.

Mi auguro che chiunque veda "The Sweetest Dream", una prossima volta, osservi la bandiera europea e si metta a riflettere su che cosa è diventato quel bel sogno antifascista dei paesi europei uniti dall’uguaglianza e dalla condivisione economica.


Nemanja Cvijanović

polemica su "The sweetest dream" e INTERVISTA con Nemanja

16 novembre 2006.

Genova, Loggia della Mercanzia. Una piazza coperta, uno spazio pubblico della città gestito dall’Assessorato del Comune di Genova, dall’Accademia Ligustica delle Belle Arti e dal Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce. Nel corso della conferenza stampa di “Every revolution is a throw of dice”, l’assessore alla cultura Luca Borzani (DS) con un gravissimo atto censorio impone che sia tolto il lavoro di Nemanja Cvijanović altrimenti non avrebbe inaugurato la mostra. Alla richiesta dell’artista di un documento firmato che motivi questa censura a priori, limitando l’agire estetico seppure in un contesto pubblico, e all’eventualità che tale documento fosse distribuito con un volantinaggio durante l’opening, l’assessore rivede la sua posizione, si defila dall’inaugurazione e indignato annuncia la chiusura della Loggia come spazio espositivo. L’ennensimo pericoloso episodio di censura politica che colpisce “The sweetest dream”, un’altra pesante inferenza da una posizione di potere verso il mondo dell’arte dopo i fatti del Museion di Bolzano che avevano coinvolto GoldieChiari e la giunta di centro destra.

Qual’è il margine d’azione per un artista? In una situazione di pieno regime in che modo si può proibire la libertà di manifestare un disagio e un dissenso con la propria opera?
Ne abbiamo discusso con l’artista Nemanja Cvijanović


Elvira Vannini: Parliamo di “The sweetest dream”, perchè questo lavoro fa così discutere? Non è una semplice provocazione gratuita. L’apertura dell’Unione a una parte dell’Est Europa ei Balcani, la presa di posizione politica di un’artista e le vicende di un lavoro che scatena reazioni e dove non c’è spazio per la discussione: ogni confronto diventa conflitto.
Qual’è il significato di “The sweetest dream”?

Nemanja Cvijanović: Un unico aggettivo: l’informazione dovrebbe essere "libera"

"The Sweetest Dream" è una comunicazione costruita nel linguaggio di massa (ridotto, preciso e indirizzato), proprio come tutti messaggi della propaganda (politica o di marketing). I metodi oscuri della manipolazione propagandistica del regime attuale, come l' "appropriazione" di nomi, concetti, simboli, usanze, atti storici ecc., non sono che l'arma da usare contro il regime stesso. (questo metodo di sfruttare l’arma del nemico contro il nemico stesso l’ho appresa dai racconti di mio nonno Marko Cvijanović - combattente partigiano, comunista e antifascista). Forse proprio per questo motivo "The Sweetest Dream" non lascia mai indifferenti..... Alcuni non approvano il significato del messaggio, altri il metodo della comunicazione. Qual'è il significato di "The Sweetest Dream"? In che cosa si è trasformato il significato della EU? Unione geo-economica? Unione geo-politica? Unione privatizzata? Unione neo-collonialista? Unione delle dittature? Unione della guerra continua? Provate a concentrare tutti questi aspetti della realtà "europea", e constatare come si stia pian piano corrodendo la bellissima visione di uguaglianza e condivisione delle risorse continentali, in una unica immagine. Non è per nulla un compito facile. L'intenzione di "The Sweetest Dream" è di mettere in discussione l'orientamento che sta prendendo il vecchio-nuovo "impero" (sotto-impero o secondo impero) e di sottolineare alcuni paralleli con la storia europea non così lontana. Non credo che il concetto di costruzione dei "Centri di permanenza temporanea" per i cittadini immigrati (illegali perché così vuole il governo) sia così diversa dai campi di concentramento del "reich europeo hitleriano", mancherebbero soltanto le esecuzioni!?! All’epoca erano gli Zingari, gli Ebrei o i dissidenti politici del regime ad essere perseguitati – ora sono gli extracomunitari, i cittadini di “terzo grado” (quelli di “secondo grado” rispetto alla distribuzione della giustizia sono adesso i neocomunitari delle nuove province dell’Est). E se qualcuno si oppone - violenza e repressione. Credo che una delle più grandi utopie - la democrazia - sia ancora soltanto un’ombra sulla parete, nelle tenebre della grotta europea.



Elvira Vannini: Quello di Genova è l’ennesimo episodio di censura di questo lavoro. Ci racconti che cosa è avvenuto ogni volta che hai esposto “The sweetest dream”?

Nemanja Cvijanović: Ho esposto per la prima volta la bandiera in occasione di "Mars Pavillion" nel 2005. Una bellissima iniziativa organizzata in collaborazione con il collettivo Interno 3 di artisti e curatori, Andrea Morucchio, il Laboratorio Morion con Marco Baravalle e altri compagni del centro sociale veneziano, attivisti disobbedienti e artisti dell' ambito veneziano, accompagnati durante tutta l'occupazione e svolgimento del programma, da Radio Sherwood - Global radio. Nel periodo del vernissage della Biennale di Venezia, abbiamo occupato la vecchia serra (abbandonata da tempo) sita davanti all’entrata dei Giardini. Durante l'azione ho avuto un lungo e acceso dibattito con gli attivisti che non mi permettevano di esporre la bandiera, che a loro modo conferiva un “brutto timbro” all'intera iniziativa. Dopo alcune ore di discussione decidiamo insieme di lasciare “The Sweetest Dream” esposta. Andrea Morucchio - uno degli artisti-curatori riprese l’intera discussione facendo poi un opera (video) di questo materiale.
La seconda volta fu esposta all'interno del progetto public "Arcipelago"(2005) tra Gorizia e Nova Gorica (SLO) in una piazza davanti alla ex-stazione ferroviaria. Un vecchio partigiano sloveno dopo averla riconosciuta, la contesta e chiama la polizia. Durante la notte un cittadino comincia a dar il fuoco alla bandiera ma la guardia riesce a spegnerla. Il giorno dopo i sindaci dei due paesi convocano un assemblea straordinaria per decidere se continuare o meno a mostrare il lavoro. La Bandiera resta esposta. In seguito ho rilasciato un’intervista con la giornalista Katja Munih per il quotidiano sloveno Primorski Dnevnik, e per il telegiornale serale del primo programma sempre sloveno, riuscendo a far passare contestualmente la notizia del sequestro poliziesco dei computer personali di quattro leader del gruppo di compagni disobbedienti che nel 2004 sono riusciti ad entrare nel CTP vicino Gorizia.
La Terza volta di “The Sveetest Dream” doveva essere quest’anno a Londra. Sophie Hope, una delle curatrici del gruppo B+B, mi ha invitato a partecipare alla mostra "Unity and Dissonance in Europe / Reunion Project" alla The Space Gallery, con la bandiera, ma poco dopo, uno degli sponsor più importanti - il direttore dell’Austrian Cultural Forum London, Johannes Wimmer - decide di non sponsorizzare la mostra se la bandiera fosse esposta. Tra le varie ragioni, quest' anno l’Austria era portavoce della cultura europea. Le B+B decidono di non esporre la bandiera, ma tutto evento prende il nome di “The sweetwet Dream” ("The Sweetest Dream / Unity and Dissonance in Europe"), con la relativa spiegazione pubblicata nel volantino. In aprile del prossimo anno sarò di nuovo a Londra per registrare la discussione con Johannes Wimmer sul tema della censura nell’arte oggi. Mi piacerebbe approfondire il discorso invitando anche l' assessore della cultura genovese Luca Borzani a partecipare. Successivamente, in collaborazione tra B+B e l'Assessorato alla cultura della Città di Rijeka (Fiume), ne pubblicheremo gli atti.


Elvira Vannini: In che misura l’agire politico attraversa nella tua ricerca la dimensione estetica? Quanto la tue operazioni si avvicinano ai nuovi antagonismi, attaccano le geografie del potere e riflettono criticamente e polemicamente il sistema economico dominante?

Nemanja Cvijanović: La dimensione estetica che uso nel mio operare è solo un metodo attraverso il quale è possibile comunicare chiaramente, mi dispiace dire che ha un ruolo strumentale e insignificante perché l’arte per l’arte per me francamente non ha alcun senso. La così detta Arte è sempre esistita per tappare i buchi di una società marcia - poche volte ha avuto la forza di insistere nell’utopica intenzione di riuscire a cambiare la società. Guardando alla mia esperienza sono sicuro che ancora possiamo dare molto fastidio. In seguito a una personale rimossa dopo due giorni dall' inaugurazione a ErsteClub (il club della Erste Steiermarkische Bank di Rijeka, e dopo la reazione di Davor Mišković del giornale Novi LIst sulla rimozione della mostra, ho ricevuto una comunicazione di rabbia dall' agenzia del marketing della Erste Steiermarkische Bank (che era una delle piccole e insignificanti banche austriache prima di ingoiare una serie di banche dei paesi europei ex-socialisti che i politici locali hanno dichiarato artificiosamente in bancarotta per poter venderle) dove mi accusavano di aver provocato la perdita di 50/60 possibili nuovi clienti in quell' anno, secondo il loro calcolo. Ottimo!

Elvira Vannini: Mescolare tanti tipi di realtà e ridisegnare uno scenario geopolitico al di fuori degli standard imposti dal sistema della globalizzazione, una forma di resistenza seppure nell’ambito dell’estetico. Deleuze in un noto slogan affermava “la resistenza è creazione”, allora quanto il tuo lavoro può avere un ruolo e un’incisività reale anche al di fuori del mondo dell’arte?

Nemanja Cvijanović: Penso di averti già risposto precedentemente. Credo che tutti noi anche con le più piccole azioni possiamo sempre combattere e colpire le strutture del potere... Il Sistema dell' arte contemporanea si può attaccare soltanto dal dentro, visto che non siamo mai riusciti di costruire le unioni o un "Sindacato mondiale degli artisti" che potrebbe organizzare un sciopero generale degli artisti (proletari - operatori culturali) sfruttati dal sistema del arte (sarebbe tropo bello - oggi non vendiamo nulla!!! Ha, ha!). Devi entrarci, farci parte, sovvertirlo dall’interno, e usarlo come piattaforma per disseminare opinioni, dissenso e contestazione. Cercare di sfruttare tutte le possibilità e usare i buchi della società senza ma tapparli.


Elvira Vannini: Recentemente la tendenza policy activist è molto di moda soprattutto nell’opulenta società occidentale. Credi che quella che oramai si chiama “arte politica” e in genere l’interesse di molti artisti verso la realtà sociale e le sue contraddizioni, secondo te, nasce da una NECESSITA’ o sia piuttosto una tendenza costruita a tavolino dal sistema dell’arte?

Nemanja Cvijanović: Il Sistema dell' arte è diventato gigantesco e tende ad ingoiare tutto. Tutto ormai va bene. Si deve e si può vendere tutto. Bisogna soltanto star a vedere dove ci porterà questa “porcheria”. Sicuramente prima o poi esploderà! Io credo che non ci sia niente di più onesto che firmare una posizione. Dire: io la penso così. Poi se tante opinioni o visioni iniziano a coincidere potremmo iniziare a cambiare la realtà. Forse un tavolino c'è, ma non centra col sistema del arte e si chiama la "rete". Stiamo usando i soldi comuni per produrre gli eventi comuni - questo potrebbe essere un indirizzo!

martedì 28 novembre 2006

DANIEL KEMENY








Hallesches tor tür, frame da video, 2006

Quella di Daniel Kemeny è un’operazione public che avviene nella città e si trasforma in un pretesto per sondare le relazioni, i contatti che normalmente ci sfuggono: la metropolitana di Berlino è la location dove l’artista “piazza” una vera e propria porta all’uscita di una stazione, all’estremità di una lunga scala mobile, che diventa una ripresa straight dei passanti distratti, incuriositi, infastiditi. O in altri interventi public, sempre senza titolo, che l’artista compie in giro per la città: come riempire di mattoni una cabina telefonica, defunzionalizzarla e renderla inaccessibile creando, ancora una volta, un ostacolo ai passaggi. Una predilezione per l’orizzonte urbano, ma se l’arte pubblica spesso si avvale del consenso delle Istituzioni, quelle di Daniel sono operazioni abusive, illecite, che seguono piuttosto il concetto foucaltiano di eterotopia, o si configurano come zone temporaneamente autonome.

PLEURAD XHAFA








Dissolve inside you, fotografia, azione e installazione, 2006

Il lavoro fotografico di Pleurad Xhafa è il frammento di esperienza, di un’azione che si è svolta per le vie di Bologna, sospesa tra una processualità politica e l’attitudine performativa, tipiche dell’artista, e un rigore di ascendenza minimal nel design di un oggetto. Un acquario mobile, che decontestualizza e presenta in un cut-up che lo rende irriconoscibile, un dispositivo di reazione e di ascolto della città. Ma lo spazio pubblico si carica di tutte le istanza comportamentali e sociologiche dei suoi attraversamenti, non è una semplice entità da misurare o progettare geometricamente, infatti Pleurad Xhafa vi si insinua con piglio polemico, radicale e al tempo stesso lirico. Si dissolvono dentro di te. Le diversità, le conflittualità, le problematiche e le contraddizioni di una società, nella prospettiva della globalizzazione, sempre più multiculturalizzata, che presto si annulleranno, si azzereranno almeno da un punto di vista…..quello fisiologico. Il tutto metabolizzato da una linea di intervento diretta, antagonista, che ingloba la realtà pubblica e privata in gesti spesso provocatori e spiazzanti, che chiede continuamente all’arte come si possa reagire ai mutamenti, alle sollecitazioni del presente, alle politiche economiche quanto alle richieste dal basso, di una società in trasformazione, interrogandosi sulla posizione dell’artista in questo nuovo scenario geopolitico.

ANDREA NACCIARRITI






Moschea, materiali cartone, dimensioni ambientali, 2006


In una dimensione di orizzontalità, in assenza di articolazione volumetrica il lavoro di Andrea Nacciarriti per Genova si sviluppa con un’occupazione del suolo, una sorta di floorness che si dispiega planimetricamente negli spazi della Loggia. Riflette sulla recente polemica circa la costruzione di una moschea a Genova. La ricostruisce in pianta, con materiali poveri, ordinari, come il cartone da imballaggio, rivolta verso la Mecca, diretta a Oriente. Come un tappeto calpestabile non connesso al pavimento, reiterato e seriale che si dipana in una scansione cadenzata, regolare.

Andrea Nacciarriti esegue strutture complesse, stereometriche, aprioristiche, che manifestano una forte assonanza con certe dislocazioni, sia volumetriche che planari, dell’architettura radicale al limite tra Minimalismo e Funzionalismo, assumendo una sintassi rigorosamente geometrica, fatta di profili metallici e strutture modulari dominate da una pregnante enfasi oggettuale. Se per Dan Graham “tutta l’area Minimal nega i significati connotativi…così come l’International Style, rappresenta solo sé stesso, come linguaggio strumentalmente autorefenziale”, il lavoro di Nacciarriti scruta le forme da un’angolazione che non è solo estetica ma anche sociale, spaziale e che si apre ad una “dimensione pubblica”, nell’attitudine ad intervenire con modalità sempre site-specific. L’esigenza di forme elementari si combina con soluzioni spaziali inedite, che sembrano trovarsi lì da sempre, proprio dove l’artista le ha collocate, instaurando una simbiosi talmente gluant, con l’involucro architettonico, da far pensare a certi passaggi di Buren
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ALESSANDRO NASSIRI TABIBZADEH






La verità non esiste, azione e installazione itinerante, Assab One – Ex GEA, 2005

La verità non esiste è la ripresa di un’azione compiuta da Alessandro Nassiri Tabibzadeh per le vie del centro di Genova durante l’ultima Notte Bianca. Una scritta al neon sospesa da palloncini colorati lancia un monito all’intera città.
Un meccanismo instabile che si rigenera con andamento itinerante: dove i progetti artistici, architettonici e fisici si confondono con un’indagine territoriale di passaggi ininterrotti. Come se fosse l’ultimo layer della stratificazione dei saperi, dei flussi di interazioni di chi questi dispositivi, semplici, diretti e frontali, li consuma e li distrugge. E l’aneddoto di Gianni Baget Bozzo, ideologo di Forza Italia, oltre a rasentare il ridicolo, è sintomatico di come una simile operazione sia di efficacia conflittuale e si insinui nella coscienza collettiva, scambiandola infatti, nelle pagine de Il Giornale per un’operazione dei no-global

MARIA VITTORIA PERRELLI






Gioventù ribelle, Archivio del dissenso, stampa su carta, 2006

Maria Vittoria Perrelli ha costruito un archivio del dissenso, una raccolta sistematica di identità antagoniste, di immagini ‘pericolose’. Gioventù ribelle è un collettivo ma anche un deposito della memoria. Una processualità preliminare è parte fondante del suo lavoro: l’artista si inserisce nei forum degli ultras, passa dalla politica all’ambito musicale underground per accumulare, schedare e catalogare senza alcun riguardo scientifico, se non mossa dal disordine del proprio sguardo su una realtà che, di per sé, è già orizzontale, diasporica, reticolare spesso alla ricerca delle vie di fuga piuttosto che dei dispositivi di sorveglianza. Raccogliere tutte le immagini che circolano su internet di manifestazioni, proteste, sit-in, dai no-global ai collective behaviour, dalla militanza dal basso alle nuove forme di disobbedienza. In Social Hammock ha rivestito una comoda amaca con gli abiti richiesti agli attivisti dei centri sociali bolognesi che soprassedendo alla discussione intorno alla legalità okkupano spazi.

Anche per Genova un progetto radicale in una città in cui aleggia uno strano senso della verità.
Che cos’è la verità?
L’artista lo ha chiesto a un network di artisti, curatori, politici, musicisti.Un collages sonoro per manifestare il proprio dissenso che, nella musica come nell’arte, non è un semplice punto di vista ma una strategia di azione diretta.

Hanno partecipato all'intervento audio:

Fabrizio Basso
Silvia Cini
Annalisa Cattani
Adriana Torregrossa
Emo (Linea77)
Angelo Sigaro Conti Raul Garzia (Banda Bassotti), Lucilla Castellano, Pasquale D’Alessio
Stefano Romano
Haidi Giuliani
Stefano Pasquini
Cesare Pietroiusti
Giorgio Porreca

STEFANO ROMANO






Corridor 8, installazione e performance, Tirana-Genova, 2006

L’installazione di Stefano Romano, un tavolo con due scacchiere, rinvia a una battaglia navale giocata al mercato di Tirana. Corridor 8 è il titolo dell’opera che allude ai "corridoi di trasporto transeuropei " ideati dalla UE per tenere sotto controllo tutta l’area dei Balcani e facilitare la stabilità in un’area pericolosamente instabile. Sono ‘corridoi’ commerciali e politici che l'Europa stabilisce per agevolare lo scambio di merci, persone e soprattutto petrolio e approvvigionamenti energetici. Il Corridor 8 parte dall’Albania e la proietta idealmente verso i mercati dell’est. Una partita alla battaglia navale, gioco di strategia e tattica, nel corso del quale l’artista ha effettivamente sfidato, come rappresentanza occidentale, Gezim Qendro, curatore, storico dell'arte e direttore della Biennale di Tirana. La partita è stata direttamente giocata su un tavolo fatto costruire con le apposite scacchiere indicate sul legno.

PETAR STANOVIC





Post Traumatic Stress Disorder, Pvc, 160x60 cm, 2006

Post Traumatic Stress Disorder, la sigla di un disturbo post traumatico da stress, segnato da prolungate sofferenze psicologiche, in alcuni casi perduranti per tutta la vita, successive ad un evento catastrofico o violento. E' denominato anche nevrosi da guerra, perché spesso colpisce militari e soldati, protagonisti di scontri bellici. PTSP, in croato PostTraumatskiStresniPoremecaj, è il punto in comune di tutte le rivoluzioni, che l’artista rovescia in un doppio senso, utilizzando l'immagine pubblicitaria della PlayStation per alludere criticamente e con ironia a un assurdo stress da gioco.

Petar Stanovic si esprime con “gesti” di afflato ideologico e avanguardistico e un’idea di ‘azione’ semplice e diretta che accompagna ogni progetto – la spada conficcata nella pavimentazione della chiesa gotica di Santa Maria Alemanna a Messina, il portale dorato e orientaleggiante che camuffa l’accesso alla Rocca Sforzesca di Imola - e le tante installazione temporanee con sottolineature coloristiche prive di spessore, di realtà stereometrica, scomposte come lastre De Stijl. Destruttura la visione attraverso lo slittamento di piani. E proprio la definizione cromatica delle componenti architettoniche investe lo spazio pubblico con finalità che non sono mai decorative ma strutturali.

NICO VASCELLARI




Nico and the Vascellari’s, video, performance, 2005

Nico Vascellari, artista e front man dei With Love, band della scena punk hardcore si muove in modo trasversale intrecciando, nel suo percorso, sperimentazione musicale e sonora, con una ricerca performativa sempre imprevedibile, declinata su registri espressivi differenti che vanno dal video all’installazione, alla fotografia passando naturalmente per la performance.
Nico and the Vascellari’s con cui ha vinto il Premio Internazionale della Performance, gioca sui paradossi dell’incomunicabilità, le relazioni familiari e l’anomalia di una conflittualità irrisolta. In una performance molto coinvolgente l’artista suona con la propria famiglia, co-protagonista dell’evento, senza alcuna riscrittura del quotidiano ma per affermare una “politica dell’esperienza”. Come una sorta di catalogatore random di microeventi del privato Nico Vascellari tocca livelli molto più strutturati e complessi: forse attraverso una riflessione sui reality e le ultime tendenze televisive che si nutrono di ostentate esibizioni del privato, in una sorta di performance mediale?
Le relazioni familiari lo sostengono in senso letterale con una struttura scenica precaria che inquadra l’azione, sempre intrecciata indissolubilmente con la musica. In un’ironica messa in scena dello spettacolo del quotidiano.